Dott.ssa Roberta Calvi

Visibilità e Invisibilità in epoca dei Selfie. Tra autostima e ammirazione

Visibilità Invisibilità epoca dei Selfie Tra autostima e ammirazione | Dott.sa Roberta Calvi Psicologo in Rimini

Cosa si cerca in un Selfie?

Il fenomeno dei selfie è probabilmente uno dei più macroscopici della nostra epoca. Non solo tenuto conto della viralità con cui esso si manifesta, contagiando mediamente chiunque possegga uno smartphone qualsiasi. Ma soprattutto per le implicazioni che il selfie solleva sul piano dell’identità personale e della relazione. Non meno che per le implicazioni con il postumano, categoria di recente configurazione, riferita ai fenomeni di interazione uomo/macchina.

Ma cos’è un selfie? È una declinazione del narcisismo nell’epoca digitale? ​

O siamo di fronte a una riformulazione delle costanti dell’Io? Di quei due movimenti tipici dell’identità personale esprimibili nei termini di​ introflessione e relazione ? Entrambi alla base dei due paradigmi classici della conoscenza nel pensiero occidentale: il principio di identità ​e il principio di non contraddizione?​

Nel selfie la distanza tra Io e Tu si mantiene costante e incolmabile. Nonostante chi scatta sia anche il termine stesso del selfie. E questo ci fa escludere la natura intrinsecamente narcisistica del selfie. Nel selfie c’è sempre un terzo chiamato a guardare. E possibilmente ad approvare.

E allora cosa si cerca in un selfie? 

Potremmo considerare il selfie uno strumento volto all’ottenimento di riconoscimento e  ​ammirazione. Una sorta di: ​”esisti e vai bene”​ che appare come un lasciapassare nel mondo attuale.​

E’ evidente un bisogno imperante di essere visti, commentati, condivisi e soprattutto “likeati”.

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Visibilità Invisibilità epoca dei Selfie Tra autostima e ammirazione | Dott.sa Roberta Calvi Psicologo in Rimini

Psicologo Sessuologo Rimini: Studio Psicologia Sessuologia Dott.sa Roberta Calvi

​La moda del selfie rappresenta una protesi della fragilità dell’autostima e racconta della paura di non essere visto, di essere dimenticato. A monte ritroviamo quel timore profondo dell’invisibilità che oggi più che mai significa “non vali” ma soprattutto “non esisti”. Ma essere visti cosa vuol dire?​ Essere visti per quello che si è o si mostra? ​​Il selfie rende visibili o invisibili?

Il bisogno di ammirazione a tutti i costi rischia di trascurare la differenza fondamentale tra visibilità e riconoscimento. 

La visibilità di oggi è quella da palcoscenico. E il like niente altro è che l’applauso al termine della rappresentazione (il selfie). Ma questa forma di ammirazione è solo un simulacro dell’autostima, un suo misero surrogato.  

L’ammirazione non nutre. Non c’è quel senso profondo di riconoscimento che significa sentirsi visti e voluti per quello che si è​. 

E’ proprio perché non nutre che il like diventa una sorta di droga. La ammirazione genera dipendenza ​da quel momento magico. Eppure ciò che realmente è significativo per l’essere umano è cosa accade quando le luci del palcoscenico si spengono.

Il riconoscimento profondo, quello che promuove la costruzione dell’autostima, si basa su un Io e un Tu specifici e non anonimi. Non è l’applauso del pubblico. Ma l’abbraccio di un genitore, un amico, un partner. 

E’ solo su questa forma di riconoscimento che si può costruire una buona autostima. Che è lontana da quella forma di superbia narcisistica, di autosufficienza arrogante che sembra spopolare nella cultura contemporanea.  L’autostima si basa sulla capacità di riconoscersi un valore, ma anche di accettare i propri limiti. Si tratta di un senso di adeguatezza realistico e fattibile. Non c’è eccesso, non c’è scalpore. L’autostima è elegante, modesta. O forse (purtroppo) oggi possiamo dire che è “sfigata”.

Roberta Calvi Psicologa e Sessuologa

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