Sesso e cultura della prestazione: l’inevitabile ansia da prestazione
Nella cultura della prestazione dove l’ambizione è famelica e inesauribile, non c’è posto per l’altro se non come competitor o giuria. Non c’è posto per le emozioni che potrebbero rallentare o minare la possibilità di raggiungere il traguardo. Traguardo in fondo impossibile perché ogni traguardo raggiunto non soddisfa le aspettative di gratificazione, non è abbastanza per sentirsi appagati.
Ciascun obiettivo è idealizzato: su di esso confluiscono tutti i desideri insoddisfatti, con la credenza irrealistica, quasi delirante, che il raggiungimento di quell’obiettivo cancellerà la frustrazione di un senso di vuoto personale spesso totalizzante.
Questo bisogno inconscio di risoluzione della propria angoscia esistenziale attraverso il raggiungimento di livelli di prestazione sempre maggiore in campo professionale, economico ovvero sessuale rende la soddisfazione impossibile, alimentando l’ansia da performance. Ma senza per questo uscire dalla logica della prestazione che si nutre paradossalmente proprio del fallimento dell’obiettivo inconsapevole presupposto.
Solo se non mi sento abbastanza (o se voglio sentirmi sempre “più bravo”) metterò in campo nuove risorse (e più ansia) per raggiungere un nuovo e più ambizioso obiettivo!
L’insoddisfazione d’altronde è la molla principale del mercato e la società contemporanea non può non premiare la sfida al superamento costante dei propri limiti. Alimentando l’illusione che la gratificazione è sinonimo di performance eccellente e dunque che l’insoddisfazione personale è legata ad una prestazione scadente.
Si crea un circolo vizioso per cui l’ambizione non è più legata al raggiungimento di un obiettivo specifico ma è l’ambizione per l’ambizione, in cui ciò che conta è raggiungere livelli di prestazione sempre maggiori.
Sesso e cultura della prestazione: l’inevitabile ansia da prestazione
Il mercato intanto produce e vende pozioni magiche e gadget di ogni tipo che permettono di superare costantemente i propri limiti e migliorare la performance in ogni campo.
In campo relazionale il mito della performance modifica il rapporto interpersonale introducendo la dimensione competitiva e di sfida anche nella coppia. Una gara a superare l’altro, ad essere migliore, a primeggiare o a farsi ammirare.
L’altro è vissuto come avversario da battere o pubblico da conquistare e convincere. Far godere l’altro, fargli raggiungere livelli elevati di soddisfazione sessuale per godere a propria volta della propria prestazione soppianta la natura dello scambio e del gioco sessuale rendendo il partner un oggetto di gratificazione narcisistica.
Questa oggettificazione dell’altro, preso a prestito per valutarsi e essere valutato nella propria performance, rende il rapporto sessuale un terreno su cui misurarsi, riduce l’incontro sessuale ad un surrogato masturbatorio, in cui l’altro è spettatore e giuria o al massimo fruitore disinteressato.
Tutto questo non fa che amplificare l’ansia da prestazione e tutti i suoi sintomi come deficit erettile, anerosia e anorgasmia.
Per parlarne con la Dott.ssa Roberta Calvi
compila il Form qui sotto e Clicca Invio oppure usa il tasto WhatsApp o Messenger
Coppia aperta o chiusa? Costi e benefici psicologici
Coppia aperta o chiusa? Costi e benefici psicologici