Dott.ssa Roberta Calvi

Risolvere una dipendenza? Non basta l’astinenza!

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Risolvere una dipendenza? Non basta l’astinenza!

Ingenuamente si pensa che la fase più difficile nella risoluzione di una dipendenza sia la fase iniziale acuta di astinenza. Ma in realtà chi soffre o ha sofferto di una dipendenza sa bene che la vera sfida, la fatica maggiore inizia dopo: quando bisogna imparare a vivere senza la propria “droga”!

Che sia dipendenza da sostanze, da alcol, da cibo (o dal rifiuto del cibo), da sport, da shopping, da gioco, da un partner o da qualsiasi altra cosa o situazione, la maggiore difficoltà è ripensarsi e ricostruirsi. Facendo a meno di ciò che prima risultava vitale e occupava la mente più ancora che la quotidianità, saturava il pensiero più ancora che l’azione.

Chi sono io senza quell’oggetto di dipendenza? Di fatto si tratta proprio di una ristrutturazione identitaria perché quel sintomo di fatto rappresenta(va) una sorta di marchio, di distintivo. Io sono la mia dipendenza! E all’ inizio di una cura a volte ci si stupisce perché può essere quasi “facile” la fase di astinenza e disintossicazione, quasi si riesce a controllare quella spinta di dipendenza e ci si sente forti e forse troppo sicuri! Perché all’inizio in realtà il fatto stesso di essersi messi in gioco rappresenta un fattore motivazionale intenso che porta a rimanere saldi nella propria convinzione e voglia di cambiamento. Come all’inizio di qualsiasi novità, come mille progetti che ciascuno di noi forse ha cominciato e magari inzialmente è riuscito a portare avanti con entusiasmo prima di disinvestirli o abbandonarli piano piano.

E poi all’inizio di una cura della dipendenza è forte la sensazione di disperazione che contribuisce anch’essa ad affrontare i primi tempi tenendo duro nella tempesta.

Ma poi superata la fase acuta inizia il tempo della stabilizzazione!



Risolvere una dipendenza? Non basta l’astinenza!

Nessuna dipendenza si risolve con un periodo di astinenza. Clinicamente si chiama “remissione sintomatica” e talvolta può avvenire anche spontaneamente senza una cura. Ma quella fase di assenza di sintomi non rappresenta la soluzione della dipendenza. Perché dietro ogni dipendenza si nasconde un mondo di emozioni censurate, di mancanze di senso, di vuoti esistenziali, di bisogni dimenticati, di desideri repressi, di evitamenti e non detti, di vissuti rimossi e repressi.

E quel sintomo di dipendenza è solo la punta di un iceberg, che testimonia la presenza di un problema ma non esaurisce il disagio, ed è per questo che l’astinenza è solo la prima fase di una cura. È la fase in cui si sgombra il cielo dalle nuvole perché la dipendenza non consente di sentire e pensare con il suo essere un martello ossessivo. E proprio in quel momento in cui si è sgombrato il campo dal sintomo di dipendenza che bisogna scavare dentro, arrivare negli abissi, nel cuore del dolore. È da lì che talvolta si scappa ed è per questo che spesso si ritorna nei vecchi schemi di dipendenza. Perché guardare in faccia la propria verità è molto faticoso e doloroso e il sintomo di dipendenza, per sua natura, rappresenta la forma di “auto-cura” perfetta, seppur patologica.

La dipendenza anestetizza il dolore profondo spostando pensiero, emozione e azione sul proprio sintomo che, per quanto faccia male, protegge e nasconde dalle proprie angosce esistenziali.

È per questo che non bisogna arrendersi in un percorso di cura e riabilitazione dalla dipendenza anche quando si fa fatica a procedere e migliorare e/o ci si ritrova in un momento di impasse.

È normale che possano esserci ricadute sintomatiche, pensieri paradossali di idealizzazione del sintomo, vissuti ancora più dolorosi di quelli percepiti nel pieno del craving.

Un percorso di risoluzione di una dipendenza è come una chemioterapia: doloroso, faticoso, pieno di ostacoli e insidie, pieno di paure e pensieri disturbanti, ma inevitabile e necessario per risolvere il male alla radice!

Non ci si può accontentare di un finto equilibrio di compromesso sintomatico ovvero di una dipendenza a piccole dosi!

Bisogna credere di poter meritare una vita migliore e affrontare la fatica di ricostruirsi un pezzo alla volta.


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