Rapporto col cibo Quando preoccuparsi?
Quando il rapporto col cibo diventa un problema?
Il cibo non è mai solo strumento di soddisfazione del bisogno nutrizionale ed energetico dell’organismo. Bensì assume significati emotivi, psicologici, sociali, culturali, simbolici complessi ed elaborati.
Il cibo e i rituali alimentari rappresentano il nucleo intorno al quale si costruiscono i più significativi momenti relazionali.
Il pranzo o la cena rappresentano lo spazio/tempo del convivio familiare, l’occasione della coppia, l’incontro tra amici.
In questa complessità di significati si annidano i rischi di un uso patologico o disfunzionale del cibo.
Cibo odiato e amato, bramato o respinto, controllato o incontrollabile.
Cibo come strumento simbolico-proiettivo, come significante. Cibo che esprime il rapporto ambiguo con l’altro, ormai dimenticato e nascosto in una conflittualità aperta con il piatto.
Rapporto col cibo Quando preoccuparsi?
Il desiderio ambivalente del cibo richiama il desiderio confuso o ambiguo di vicinanza e possesso dell’altro (un genitore, un partner, un fratello, un figlio). Una simbiosi impossibile che trova nel cibo l’espressione più intensa e simbolica (cibo respinto, cibo cercato compulsivamente e poi espulso, cibo divorato senza fine) e/o la difficoltà di tolleranza e superamento di una perdita.
Cibo controllato o non controllato in funzione di una più complessiva difficoltà a gestire e risolvere conflittualità emotive profonde, ad autogestirsi o a gestire il rapporto con l’altro.
Il cibo per la sua valenza simbolica profonda si presta dunque ad essere il rappresentante di qualcos’altro o di qualcun altro. E per la sua pronta disponibilità diventa spesso strumentale per gestire momenti di difficoltà o crisi.
Quando allora preoccuparsi?
Se il cibo diventa un’ossessione, un pensiero costante e intrusivo tanto da essere il pensiero prevalente della giornata (cosa mangio o non mangio? quanto mangio o non mangio?) allora è evidente che sta assumendo un significato rischioso ed eccedente oltre quello che può essere “normale”. Il problema diventa il cibo e prende il posto di un altro disagio “dimenticato” o sottostimato.
Se inoltre il cibo è usato sempre per gestire momenti di noia, vuoto o per placare un’ansia, anche in questo caso è opportuno interrogarsi e capire cosa sta accadendo. Talvolta il cibo è l’unico strumento di regolazione emotiva che si conosce, che si è appreso o semplicemente è il più rapido e apparentemente efficace.
Se il mio rapporto col cibo non lo sento sereno, se da esso dipende la mia autostima o la mia capacità/possibilità di affrontare la vita, è sempre e comunque uno spostamento emotivo, una strategia disfunzionale per (non) risolvere il vero problema sottostante. Una forma di “auto-cura” distruttiva.
Roberta Calvi Psicologa e Sessuologa
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