Quando finisce una terapia? Autonomia e rischi di dipendenza!
Quando finisce una terapia? Sicuramente non esiste un tempo preordinato e predefinito né certamente un traguardo cosi chiaramente evidenziabile né trofei o medaglie.
Tuttavia bisogna stare attenti affinchè la terapia non diventi un patologico rifugio men che meno una dipendenza. Ricordiamoci sempre che la cura non può essere peggiore della malattia!
Qualunque percorso psicologico deve generare un cambiamento se non sul piano fattuale quantomeno sul piano della consapevolezza, della visione e interpretazione di sé e degli eventi. In ogni caso un movimento! A volte passando anche da un dolore e una sofferenza (apparentemente) maggiore, come nel caso degli strappi dalle dipendenze (da cose o persone).
È importante non solo trasformare i disequilibri affinché siano più funzionanti e funzionali generando equilibri sostenibili, ma anche smuovere gli equilibri stagnanti che non generano benessere quanto piuttosto impasse.
L’obiettivo è sempre il miglioramento della qualità della vita! Ma attenzione! La vita non sarà mai perfetta, la felicità è un anelito e non uno stato, gli esseri umani sono sempre e comunque fragili e parziali.
Tutto questo vuol dire che le aspettative del terapeuta e del paziente devono, se non subito nel tempo, abbandonare il campo della fantasia e dell’immaginario per ancorarsi al reale.
Rimanere agganciati a fantasie di perfezione o felicità assoluta vuol dire non riuscire mai ad essere soddisfatti e gratificati dalla propria vita che è per sua natura imperfetta e mancante.
Quando finisce una terapia? Autonomia e rischi di dipendenza!
Il bisogno di onnipotenza del terapeuta e/o la fantasia di raggiungimento di “equilibri” perfetti o di una sorta di “atarassia emotiva” da parte dei pazienti rischia di portare avanti all’infinito i percorsi psicologici fino al paradosso di amplificare il disagio.
Ecco allora che lo psicologo ha il compito di mantenersi e mantenere ancorato al reale il paziente, di aiutarlo a vedere e consapevolizzare i cambiamenti, a godere di ciò che ha e a evolversi nel campo del suo potenziale accettando la frustrazione di ciò che manca e mancherà.
Come un genitore sufficientemente buono deve promuovere l’autonomia e l’indipendenza, deve facilitare l’autodeterminazione. E deve accettare di non essere più necessario e indispensabile!
Un terapeuta che facilita l’autonomia rinforza l’autostima del paziente perché è come se indirettamente gli dicesse: “ce la puoi fare, sei in grado!” Anche laddove il paziente manifesta timore del distacco perché percepisce consapevolmente o inconsapevolmente di non potercela fare da solo bisogna aiutarlo a rendersi autonomo e indipendente!
Ovviamente sempre secondo i tempi di ciascuno! Ma anche laddove c’è molta fragilità il terapeuta deve promuovere il più possibile un’ autonomia del paziente, sempre valutando il suo specifico potenziale. Una terapia che cura non può diventare una dipendenza!
Per parlarne con la Dott.ssa Roberta Calvi
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