Perché le diete non funzionano? Uso psicologico del cibo..
Chi di voi non ha fatto una dieta fallimentare? Chi non ha sperimentato uno o più regimi dietetici o schemi dietologici e non è riuscito a portarlo avanti? O ancora dopo poco tempo ha ripreso tutti i kg che con fatica aveva perso?
Il problema di molti schemi dietologici è che non tengono in considerazione l’aspetto psicologico dell’alimentazione, l’uso emotivo del cibo, nonché le sue implicazioni nella vita sociale e relazionale della persona.
La maggior parte delle diete si basa su un meccanismo restrittivo in termini quantitativi ma soprattutto qualitativi.
Cosa succede allora a livello psicologico?
La dieta assume la valenza di un limite, di una regola ferrea che per sua natura il soggetto tenderà a sentire come stretta finanche soffocante e pertanto sentirà il bisogno di aggirarla, di sgarrare!
Inoltre la dieta, nel suo essere qualitativamente restrittiva, si tradurrà in una riduzione del piacere alimentare, generando paradossalmente maggiore “fame” psicologica ovvero spinta alla ricerca degli alimenti vietati.
Per capire meglio questo concetto basti pensare alla persona diabetica che desidera ardentemente i dolciumi, proprio perché non può mangiarli, e alla donna in gravidanza che desidera il prosciutto crudo proprio perché deve evitarlo!
Questi effetti collaterali delle diete riguardano tutti!
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Perché le diete non funzionano? Uso psicologico del cibo..
A questi fattori si aggiunge poi il significato psicologico che assume a livello soggettivo il cibo.
Cibo usato per gestire le tensioni, l’ansia, la noia. Cibo usato per “curare” le ferite amorose o per riempire i vuoti, ecc ecc.
Il cibo è il principale oggetto usato come regolatore emotivo, spesso con valenze pienamente sintomatiche.
Cosa vuol dire?
Che la maggior parte delle persone, nella nostra società, ha un rapporto conflittuale col cibo. E il cibo rappresenta l’oggetto con cui gestire le emozioni positive e negative.
Questo rapporto conflittuale può essere lieve. E quindi non compromettere particolarmente la vita della persona né generare una particolare sofferenza. Quanto piuttosto può diventare una sintomatologia acuta e un’ossessione invalidante come in tutti i disturbi dell’alimentazione.
La dieta diventa allora spesso la ricerca di un normalizzatore e regolatore esterno che dia una sensazione di maggiore autocontrollo e autoregolazione. Finendo tuttavia per diventare motivo di maggiore ossessione e di amplificazione del rapporto disfunzionale col cibo.
Infine non possiamo trascurare l’impatto che spesso la dieta ha sulla vita sociale delle persone, condizionando la partecipazione ad eventi sociali quotidiani: aperitivi, cene, feste, ecc.
Come fare allora ad avere un rapporto più funzionale col cibo, senza rinunciare al piacere?
Questo è lo scopo della psiconutrizione.
Il primo passo è comprendere il proprio rapporto col cibo, il significato che assume nella propria storia e nella propria vita. Analizzare il proprio stile alimentare individuando gli usi emotivi del cibo e ancora il proprio rapporto col limite. Per trovare un nuovo equilibrio tra dovere e piacere anche in campo alimentare.
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Roberta Calvi Psicologa e Sessuologa
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