Elisabeth Darchis parla di un “complesso di Telemaco”. Per indicare il processo che, durante il periodo della gravidanza, struttura la psiche del futuro genitore che deve, con un movimento regressivo, recuperare le sue origini, legarsi ad esse per poi separarsene.
Infatti, l’instaurarsi del legame genitore-figlio è un viaggio psichico compiuto dal genitore nella propria storia familiare. Viaggio in cui avviene una rielaborazione delle proprie esperienze infantili. Innanzitutto una riscoperta del bambino che si è stati. E in secondo luogo un movimento di ricerca dei genitori che si sono avuti per costruire un personale significato dell’essere genitori.
La depressione post partum | Mediazione Familiare
In questo viaggio si compie una regressione allo stadio primitivo di fusione con la propria madre. Per risperimentare il bambino che si è stati, identificandosi nello stesso tempo col bambino che si aspetta. Questa regressione consente anche di ritrovare il proprio contenitore psichico familiare e costruirne un altro differente. Allo stesso tempo il futuro genitore deve rielaborare ulteriormente il complesso edipico. Identificandosi con il genitore e assumendone a sua volta il ruolo.
Se il passato dei futuri genitori è caratterizzato da ferite e traumi non elaborati , la rielaborazione e identificazione con il bambino che si è stati e con il genitore che si è avuto non può essere intrapreso. O non può essere portato al compimento. Impedendo così il lavoro di identificazione e differenziazione tra le generazioni, indispensabile per l’assunzione di un sano ruolo genitoriale.
Quando il viaggio di identificazione e differenziazione generazionale non è stato effettuato, il legame di filiazione si instaura secondo modalità fusionali di tipo adesivo. In cui il genitore non riconosce l’esistenza separata del bambino.
Spesso alla base di patologie perinatali c’è l’identificazione con la madre onnipotente della fase edipica, che possiede il padre e detiene il potere generativo. La madre edipica è vista senza faglie e senza debolezze. Come sostiene Bydlowski, per una maternità sana è necessario che si verifichi un indebolimento dell’identificazione con la madre rivale della fase edipica. E il ritrovamento delle dimensioni di accoglienza e tenerezza originarie della madre pre-edipica. Ma se la madre pre-edipica non può essere rappresentata come tenera ed accogliente, si verifica l’emergenza di rappresentazioni terrificanti e persecutorie che costituiscono un ostacolo all’identificazione e all’assunzione del ruolo materno.
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La rappresentazione di una madre senza faglie impedisce alla neomamma di accettare le sue fragilità, le sue difficoltà di assunzione del nuovo ruolo. E alimenta in essa la convinzione di non essere all’altezza del nuovo ruolo, di non essere una buona madre.
Questi vissuti sono alla base dello sviluppo di una depressione post partum.
Maternità e gravidanza sono cariche di antichi sentimenti di colpa .
Una ragione profonda di sensi di colpa è legata alla relazione della donna con la propria madre.
Si può addirittura affermare che questa relazione è il centro dei problemi psicologici della gravidanza e di tutta la funzione della riproduzione (Deutsch ib pag 139).
E’ lo svincolamento psicologico più o meno forte dalla propria madre che decide il destino della maternità (ibidem).
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La neo mamma può, durante la gravidanza, regredire ad un funzionamento psichico infantile. Facendosi accudire, guidare, sostenere dalla propria madre. Delegando quasi a lei la funzione di madre.
Oppure può accadere che la gravidanza susciti la ribellione della figlia, che cerca in ogni modo di allontanare sua madre per poterne finalmente occupare il posto. Le antiche invidie si ridestano, ma generano un profondo conflitto tra sottomissione e ribellione.
In entrambi i casi la neo mamma è ancora fortemente dipendente da sua madre. E ciò suscita in lei la convinzione di non essere in grado, di essere incapace di diventare madre.
L’ambivalenza nei confronti di sua madre è quella che la donna rimette in scena con il figlio. Amore e odio si intrecciano e possono impedire un attaccamento sicuro da parte del bambino.
La nascita del bambino come momento di crisi
La nascita di un figlio è per una donna un momento di crisi, di confusione e di profonda trasformazione.
La crisi della maternità implica un vasto processo di riorganizzazione della personalità. E così come può condurre all’assunzione di una corretta funzione materna, può d’altra parte essere il momento in cui si verifica un grave scompenso nevrotico o psicotico. Con la possibilità di sviluppare una depressione post partum o una psicosi post partum.
La separazione biologica, sancita dal parto, lascia uno spazio vuoto nel campo dell’esperienza della donna. Che si trova così di fronte all’ampio varco che separa la gravidanza dalla maternità.
Mentre durante la gravidanza la madre aveva a che fare con un contenuto dai caratteri indistinti e dai confini incerti, dopo il parto ha di fronte a sé ciò che fino a quel momento aveva contenuto.
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“Il bambino, che prima per la madre era una parte del suo proprio io, ora le sta di fronte come una personalità sempre più indipendente” (Deutsch, Psicologia della donna vol2 p285).
Il momento della separazione da qualche cosa (perdita) e quello della successiva elaborazione richiamano da vicino il concetto di lutto e di cambiamento. Che appaiono strettamente interdipendenti. Giacché ogni cambiamento comporta la perdita irrimediabile di una parte del Sé.
Ogni cambiamento sconvolge gli equilibri e i compromessi su cui si basava l’organizzazione della personalità. E pertanto costituisce un momento di crisi.
Il post partum rappresenta in questo senso il vero e proprio periodo critico nel passaggio dalla gravidanza alla maternalità.
La separazione biologica, come suddetto, rappresenta un lutto. E pertanto richiede che la donna compia il lavoro del lutto necessario a poter poi investire la sua libido sul bambino reale che ora ha di fronte.
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Nel celebre saggio Lutto e Melanconia, Freud mostra come i vissuti, le emozioni, i comportamenti di chi compie il lavoro del lutto sono gli stessi che si ritrovano in un individuo depresso. La differenza tra il lavoro del lutto e la melanconia (depressione) è nella consapevolezza della perdita. Nel lutto l’individuo è consapevole dell’oggetto interno o esterno perduto, mentre nella melanconia la perdita avviene su un piano inconscio.
Qual è la specificità della depressione post partum? Qual è la perdita inconscia che in una donna dopo il parto può generare il risvolto melanconico?
La perdita inconscia riguarda l’illusione di un tutto narcisistico, un’unità perfetta e indissolubile. La nascita e soprattutto il taglio del cordone ombelicale sanciscono la separazione del bambino dalla madre e la fine dell’illusione di onnipotenza narcisistica. La nascita infatti interrompe il regime narcisistico e fusionale della gravidanza. Per la madre come per il bambino, questa separazione corporea è una rottura e un trauma” (Racamier).
Il parto rappresenta inoltre per la donna la riproposizione del primo lutto originario vissuto. Quello del distacco dalla propria madre. La donna rivive quella ferita narcisistica mai realmente superata.
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Se è vero che il taglio ombelicale scioglie in parte la dipendenza reciproca tra madre e figlio, permettendo a quest’ultimo di sostituire progressivamente la madre con altri oggetti, tuttavia, per quanto concerne l’unità psichico-emotiva della madre e del figlio, questa liberazione è molto relativa. Specialmente per la madre.
“L’amore materno, vale a dire il vincolo affettivo col figlio, crea un cordone ombelicale psichico” (Deutsch Psicologia della donna vol2 p256).
Insieme alle tendenze progressive della maternità che lottano per adattarsi allo sviluppo del bambino, si manifesta in ogni madre una tendenza regressiva che cerca di ristabilire l’unità prenatale.
In un primo momento tale tendenza regressiva è fondamentale per un buon sviluppo del neonato.
La regressione materna sembra essere indotta dal neonato. Che si muove nella direzione di avvolgere la madre e di guidarla sui binari dell’identificazione della madre col bambino.
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Identificazione e regressione sono meccanismi di difesa. Pertanto nel processo d’identificazione della madre col neonato, ella fa propri determinati aspetti, proprietà, attributi del neonato fino a trasformarsi totalmente o parzialmente sul modello del neonato. Identificazione e regressione rispondono così all’esigenza sentita da ambedue i versanti della simbiosi di colmare il vuoto che il parto ha creato.
La simbiosi si configura come una condizione difensiva, sia per il neonato sia per la madre. Grazie ai meccanismi di difesa messi in atto, viene in qualche modo sostenuto il senso di una continuità dell’essere, anche corporea, tra madre e neonato. Superando il trauma della nascita.
Nella fase di simbiosi la reciprocità empatica incoraggia l’illusione di una continuità madre-neonato, che è psicologica e corporea.
Questa relazione, detta “anaclitica”, prolunga il regime narcisistico prenatale. Smorzando così il “traumatismo” della nascita, per il bambino, ma anche per la madre. A condizione che la donna sia capace di entrare con il proprio bambino in quella relazione particolare in cui gli esseri, per quanto separati, restano comunque uniti e confusi.
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Questo significa che la madre si identifica con il neonato, sentendolo psichicamente come parte di sé stessa. E sempre a questa condizione la donna è capace di presentire i bisogni e gli stati d’animo del bambino.
Secondo Winnicott lo sviluppo sano del bambino dipende dalla qualità della holding materna.
Per holding si intende il sostegno, non solo fisico ma anche psichico, che viene fornito al bambino che non è ancora in grado di funzionare autonomamente. Letteralmente holding significa tenere, ma il concetto è meglio definibile come un con-tenere. La madre in questa fase avvolge l’io del bambino permettendogli di stare al mondo. Da lei dipende l’integrità mentale, emotiva e fisica del bambino.
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Tra madre e neonato si crea un’intensa relazione di reciproca seduzione. Che protegge il neonato dall’eccesso di stimolazioni interne ed esterne.
La chiusura narcisistica preserva l’unisono simbiotico che ispira a costituire un unico corpo. Un’unione che è certamente un’illusione, ma fondamentale e sana all’inizio della vita.
La regressione in simbiosi infatti è funzionale solo nelle prime fasi di vita del bambino. Se permane diventa patologica.
Il primo compito della coppia neonato-madre, è il lutto originario. Ossia la rinuncia all’illusione onnipotente di un’unione perfetta che tiene lontano l’ambiente esterno e protegge dagli stimoli interni. Il lutto originario è il lavoro di rinuncia alla seduzione narcisistica. E’ un lutto dell’onnipotenza. Il lutto originario determina la possibilità di poter affrontare tutti gli altri lutti della vita. Perché fonda la scoperta dell’oggetto e l’idea dell’Io.
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Il lutto originario è quindi il processo tramite il quale la persona, spinta dalla forze della crescita, si allontana dalla seduzione narcisistica e si volge verso l’individuazione. Questo ha il costo della perdita dell’onnipotenza e del paradiso simbiotico. Una perdita indispensabile per instaurare la differenza tra sé e l’oggetto, tra ieri e domani. Il lutto originario costituisce una soglia che impedirà alla persona di tornare alla non-differenziazione.
L’uscita dal lutto originario conduce progressivamente all’investimento di nuovi oggetti poiché fonda la fiducia di base in sé, nell’oggetto e nel mondo. “La capacità d’amore oggettuale, la capacità di gioire del piacere e la capacità di sopportare il sentimento di lutto, costituiscono tutt’insieme le condizioni di qualunque sanità psichica”(racamier).
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Il lutto originario è l’organizzatore interno dell’Antedipo, il suo limite essenziale.
L’Antedipo è il conflitto delle origini. E’ il conflitto tra le forze che mirano all’unisono narcisistico con la madre primaria. Con quelle che mirano alla separazione e poi all’autonomia.
La natura del conflitto è tra le forze di crescita e quelle narcisistiche.
Saranno le forze della crescita a spingere il bambino verso l’esterno. E le pulsioni sessuali a spingere la donna verso il marito e la sua vita precedente.
“ I due massimi compiti della donna, in quanto madre, consistono nel raggiungere armonicamente la sua unità col figlio prima, e nello sciogliere altrettanto armonicamente quest’unità più tardi” (Deutsch, Psicologia della donna vol II, p283) .
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“Se la maternità, in quanto manifestazione psicologica della missione della donna al servizio della specie, colmasse da sola ed esclusivamente la sua vita psichica, la donna perderebbe le sue caratteristiche individuali, naufragherebbe, per così dire, nella maternità” (ibidem).
Dopo che, con il parto, l’unità madre-bambino si è scissa, due tendenze esistono nella madre. Una progressiva che ha per scopo d’aiutare l’io a riguadagnare i suoi diritti ( la donna infatti ha desideri e aspirazioni che travalicano la funzione della riproduzione: possiede un proprio io che lotta per esprimersi, dilatarsi, godere, vivere). L’altra regressiva che vuole la riunione col figlio e il mantenimento del cordone ombelicale psichico.
In questa fase è necessario che il padre, il Nome del Padre, intervenga a spezzare la simbiosi madre-figlio (Lacan).
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Secondo Lacan la dipendenza iniziale del bambino dalla madre non è solo funzionale ma anche strutturale.
Il bambino è inizialmente un assoggetto. In quanto si sperimenta come assoggettato alla legge della madre. Vale a dire che il suo desiderio si trova a dipendere dal desiderio della madre. Il suo desiderio infatti è essere l’oggetto del desiderio materno, ossia il fallo. Il motivo per cui il soggetto desidera proprio il desiderio della madre, è che teme di poter non essere desiderato.
Sotto questa luce, il desiderio risulta essere una mancanza di qualcosa, ciò che Lacan definisce “mancanza ad essere”. Affinchè il bambino svincoli il suo desiderio da quello materno e costruisca una propria personale dimensione del desiderio è necessario che egli scorga anche nel desiderio della madre la legge.
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Il padre entra in funzione simbolicamente come luogo della legge della madre. Egli infatti è colui che priva la madre del fallo, dell’oggetto del suo desiderio. Il padre è colui che castra. Il padre priva la madre dell’esclusività sul figlio. Esclusività che ha avuto soprattutto per nove mesi. Il bambino, accettando l’ingresso del padre nell’ordine simbolico come colui che priva, potrà modificare il suo rapporto con il fallo. Da un rapporto di identificazione, essere o non essere il fallo, ad un rapporto di possesso, avere o non avere il fallo. Il padre è l’elemento fondamentale che permetterà al bambino di distinguere i propri confini da quelli della madre. E incominciare il processo di individuazione del sé, un sé inizialmente fuso con quello della madre.
Il padre si introduce nel legame simbiotico madre-bambino impedendo a questo di divenire devastante. “Ravage” (devastazione) è il termine che Lacan utilizza per indicare il dramma che può contrassegnare la relazione madre-figlio. Relazione di amore e di odio, di divorazione e rigetto reciproci, legame disperante, impossibilità di separazione e impossibilità di unione. Ti amo, ma poiché resti altro da me ti odio. Si tratta di una relazione che tende ad annullare l’esistenza di un Altro come terzo asimmetrico.
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Di fondamentale importanza il rapporto della madre con la castrazione. Secondo Freud infatti il bambino può rappresentare il tappo della castrazione materna. La “madre in mancanza”, secondo Miller (1998), non ha come funzione primaria le cure e l’attenzione per il bambino bensì la sua divorazione. La madre infatti cerca di riempire ferocemente la sua mancanza.
Lacan definisce la madre una belva “Querens quem devoret”(1956), che cerca qualcosa da divorare. La struttura del desiderio della madre si presenta come tendenza a reincorporare il suo frutto. E’ la mancanza del padre simbolico che lascia che la devastazione madre-figlio raggiunga il suo culmine. Se egli non interviene a spezzare la simbiosi “La bocca di coccodrillo della madre-tutta-madre fagocita il bambino-fallo misconoscendo la Legge del padre”(Recalcati, 2003). Madre e figlio restano un tutt’uno, rimanendo entrambi nell’illusione del narcisismo soddisfatto.
La relazione della madre è condizionata fin dall’inizio da varie influenze psicologiche dovute al suo sviluppo infantile, alla sua educazione, all’ambiente.
Gli antichi conflitti non risolti incidono fortemente sulla capacità della donna di non identificarsi totalmente e unicamente nel ruolo di madre. Ma di ritrovare la donna oltre la madre.
Roberta Calvi Psicologa e Sessuologa
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