I comportamenti dei genitori e l’ impatto sullo sviluppo dei figli
Quali sono i comportamenti che il genitore dovrebbe mettere in pratica per garantire un adeguato sviluppo psico-emotivo del figlio? E quali invece sono gesti sbagliati e rischiosi?
Partiamo dal presupposto che ciascun genitore fa degli errori e che è impossibile non sbagliare. Ma proviamo ad indagare e analizzare alcune possibili dinamiche disfunzionali. E l’impatto che alcuni gesti possono avere sul bambino/adolescente e sul suo sviluppo psico-emotivo.
Alcune azioni, gesti, comportamenti non sono considerabili a prescindere come giusti o sbagliati. Ma il significato inconsapevole che quel gesto/azione ha nella psiche del genitore influenzerà significativamente l’interpretazione dello stesso da parte del figlio.
C’è infatti un filo invisibile che passa nei rapporti interpersonali. In particolare quelli maggiormente investiti affettivamente. Come quelli genitori/figli o di coppia. Il che porta a tradurre il messaggio e a dargli un senso che va ben oltre il significato delle parole usate.
E non mi riferisco esclusivamente al tono del discorso, all’intensità della voce o al linguaggio del corpo. Ma ad un meccanismo molto più immediato, inconsapevole e se vogliamo intuitivo che permette di cogliere il profondo significato emotivo di ciò che l’altro dice. O quanto meno porta ad esserne profondamente influenzati e condizionati al di là della propria volontà consapevole.
Ogni gesto può avere tanti significati, può essere fatto in tanti modi e per tanti motivi.
Ci sono gesti fatti per educare, per dare affetto, per premiare o rimproverare, per insegnare competenze e metacompetenze, per trasmettere valori, per aiutare a crescere. Ma ci sono altri gesti fatti per senso di colpa, per apprensione, per eccesso di cura, per compensazione di proprie mancanze, per rabbie irrisolte, per traumi non rielaborati. Oppure per senso di riscatto o rivalsa, per proiezioni dei propri fantasmi, per invidia, per gelosia, per instabilità umorale.
Il figlio diventa un sostituto di qualcun altro. Quanto piuttosto un capro espiatorio o ancora un ansiolitico, un antidepressivo, un mediatore di conflitti. O un piccolo adulto autosufficiente, una protesi narcisistica del genitore.
Quei gesti allora non sono più neutri, ma fortemente condizionati dal significato emotivo che quel figlio riveste nell’inconscio del genitore.
Quel commento, quella critica, quella approvazione, quella carezza, quella punizione assumeranno un senso specifico che mantiene il ruolo e la dinamica instauratasi.
E così quel figlio si trova ad assolvere una funzione altra da quella di bambino. A rivestire un ruolo che lo vincola, lo limita e lo condiziona psicologicamente.
Quel bambino nella sua vita adulta tenderà a rimettere in scena lo stesso copione. Mantenendo quel ruolo che gli è stato assegnato e al quale è rimasto ancorato e fedele.
I comportamenti dei genitori e l’ impatto sullo sviluppo dei figli
E così, per fare un esempio, il “bambino ansiolitico” sceglierà un partner ansioso, insicuro, instabile umoralmente per fargli da “camomilla”, da “argine di sicurezza”, da “contenitore degli impulsi”. Si sentirà in dovere di sostenere e supportare l’altro sempre e comunque e si sentirà in colpa nell’espressione di ogni proprio desiderio o bisogno.
Dal canto suo il “bambino mediatore dei conflitti genitoriali” si ritroverà sempre nel ruolo del paciere o in mezzo a discussioni di coppia o di gruppo. Sarà spinto inconsciamente a fare da arbitro super partes in ogni circostanza. Farà fatica ad avere una sua opinione chiara e a schierarsi. Non riuscirà mai a star fuori da situazioni che non lo riguardano. E potrebbe ritrovarsi in triangoli amorosi.
Ancora il “bambino protesi narcisistica”, idealizzato e chiamato a compensare i fallimenti, le frustrazioni e i mancati successi del genitore, sarà un adulto perfezionista e ansioso. Incapace di gestire la frustrazione di ciò che non va esattamente come vorrebbe. Incapace di accettare la perdita e di riconoscere i propri limiti, ossessionato dal successo quanto dal fallimento.
E così via.
Cosa significa tutto ciò?
Che le aspettative inconsce del genitore, i suoi vissuti non risolti influenzano il figlio vincolandolo a quel posto nel mondo, quel ruolo in quel copione.
Di fatto ciascun figlio cerca in partenza di aderire alle aspettative familiari, di compiacerle e soddisfarle. Perché non conosce un’alternativa per essere amato ma soprattutto per esistere. Chi sono io se non sono quello che ha definito l’altro genitoriale?
Parliamo di un processo identitario e per questo più radicato. E’ una pelle appiccicata addosso che non si toglie facilmente. Chi sono io se non sono il bambino ansiolitico, il bambino antidepressivo, il bambino capro espiatorio, ecc. ecc? Posso essere qualcosa di diverso, di inedito, di unico?
Non è facile liberarsi dal copione, rinnovarlo o trasformarlo.
Cosa fare allora?
E’ fondamentale che i genitori abbiano una buona conoscenza e consapevolezza di sé. Pertanto, se si accorgono di avere vissuti complessi o situazioni non risolte o non rielaborate, è importante che si facciano aiutare. Proprio per “liberare” il figlio da possibili proiezioni inconsce.
Per tutti i figli già adulti invece è importante chiedersi se c’è un ruolo che si ripete sempre nella propria vita. Se ci si ritrova sempre nelle stesse dinamiche. O se si sceglie sempre lo stesso partner con lo stesso epilogo relazionale.
In questi casi è molto probabile che ci sia una fissazione ad un copione storico familiare non consapevole. E un lavoro di analisi personale può aiutare a conoscersi e ad emanciparsi.
Roberta Calvi Psicologa e Sessuologa
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