Genitori e figli: chi rende felice chi?
Quanto siamo diversi dai nostri genitori?
Come sono cambiate le aspettative rispetto ai figli?
Negli anni ’60 i genitori pretendevano rispetto e obbedienza, si aspettavano di essere riconosciuti nella loro autorità e davano per scontato che i figli rispettassero le regole.
E oggi cosa pretendono i genitori dai figli?
Cambiati i tempi, cambiate le aspettative!
L’aspettativa maggiore del genitore è che il figlio sia felice, ma attenzione: spesso questa felicità è inconsciamente vincolata ad un’idea di felicità prestabilita dal genitore stesso!
Chi decide cosa vuol dire essere felice?
Ognuno di noi ha un’idea di felicità e un’idea di ciò che è necessario per essere felici.
Questa idea di felicità, così come la percezione di essere appagati e soddisfatti, è totalmente individuale.
Qualunque tentativo di rendere felice l’altro secondo la nostra prospettiva si rivelerà inevitabilmente sbagliato.
Rendere felice l’altro vuol dire renderlo libero di scegliere la sua visione di felicità e di costruire un percorso per raggiungere quel benessere.
Vuol dire aiutarlo a rimuovere gli ostacoli interni ed esterni che impediscono una soddisfazione o gratificazione.
E rendere felice l’altro vuol dire anche aiutarlo a riconoscere le contraddizioni. O le incoerenze insite nella propria idea di felicità o nelle azioni per raggiungerla.
Qualcuno potrebbe obiettare che così qualsiasi idea di felicità, anche francamente disfunzionale o patologica, dovrebbe essere avallata?! Assolutamente no, ma capiamo perché.
Un giovane che vede nell’autodistruzione, nella morte, nell’annientamento del sé in tutte le sue forme o nell’ isolamento la sua strada di felicità è un ragazzo che sta soffrendo.
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Genitori e figli: chi rende felice chi?
Il nichilismo o il ritiro non sono obiettivi di felicità ma strategie di risoluzione di un conflitto interno. Risposte ad un disagio mascherate da una presunta scelta esistenziale e teleologica.
E qui veniamo ad un’altra subdola aspettativa genitoriale: quella di essere apprezzati, amati, riconosciuti nel proprio valore e nelle proprie competenze, di essere considerati bravi genitori.
I figli sono così caricati dalla responsabilità di rassicurare i genitori rispetto alle loro insicurezze, di gratificare i loro bisogni narcisistici di essere capaci. O di essere migliori dei loro stessi genitori, di fungere da conferma di valore, di fare da ansiolitici rispetto alla paura di sbagliare.
O ancora i figli sono chiamati a fungere da antidepressivo di mancanze intrapsichiche dei genitori. A riempire vuoti esistenziali o vuoti di senso. Essere protesi narcisistiche di un sé deficitario. A soddisfare desideri non propri ma proiettati. Essere uno strumento di riscatto o risarcimento genitoriale.
In tutti questi casi (e altri ancora) l’aspettativa di felicità del figlio nasconde un’inconsapevole aspettativa di felicità genitoriale.
Ecco allora che il quadro cambia. E dobbiamo riconoscere quanto oggi l’aspettativa più diffusa sia che il figlio renda felice il genitore, lo renda orgoglioso e gratificato in una pericolosissima inversione di ruoli.
Possiamo concludere che i genitori della società 3.0 non pretendono rispetto o obbedienza, ma riconoscimento e gratificazione.
I genitori si aspettano che i figli li rendano felici e questo ci pone un’altra domanda esistenziale: perché oggi i genitori o potenziali genitori sono così insoddisfatti e infelici???
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Roberta Calvi Psicologa e Sessuologa
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