Oggi abbiamo tutti paura di essere brutti, di essere grassi, di essere fuori forma. E di non essere abbastanza sexi, performanti e alla moda.
Insomma tutti abbiamo paura di non essere sufficientemente appetibili e visibili nella global-social-vetrina.
Non si tratta più di quella paura sana correlata al bisogno di volerci sentire a nostro agio. E di piacere a noi stessi e a coloro che riteniamo importanti per noi.
Parliamo di una paura destabilizzante, paralizzante. Una vera e propria fobia che ci limita e ci impedisce di portare avanti la nostra vita in modo gratificante e soddisfacente.
Questa paura ha assunto proporzioni spaventose sia in termini di diffusione endemica sia in termini di disagio personale. Tanto da essere diventata il nucleo di sofferenza della gran parte dei cittadini del nostro secolo.
In fondo nulla è cambiato nell’essere umano. Che risponde allo stesso modo alle aspettative esterne provando a conformarvisi per essere accettato.
Laddove però gli standard sono eccessivi, per non dire impossibili, nonché trasformati da una logica “perversa” di un mercato impazzito, il senso di inadeguatezza raggiunge livelli di insostenibilità. A tal punto da portare allo sviluppo di un modus vivendi generalizzato. E caratterizzato da alti livelli di ansia da prestazione, dipendenza dal social-consenso e fobia del giudizio.
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La diffusione capillare di questo bisogno di piacere a tutti e a tutti i costi modifica anche le aspettative personali. Cosicché non si tratta più solo di rispondere a delle implicite o esplicite richieste del contesto socio-culturale. Ma di corrispondere a ideali personali, profondamente modificati da questa nuova logica radicata e radicale.
In sostanza dobbiamo pensare che il sentirsi sbagliati, inadeguati e non all’altezza, oggi rappresenta un problema non solo individuale, ma anche sociale e culturale.
Dobbiamo anche tenere in considerazione che il senso di inadeguatezza genera sintomi di compensazione, di autopunizione e di autocura.
Leggere questi sintomi considerando lo sfondo su cui si stagliano impone di stare attenti a non patologizzare la persona. Aiutandola invece a superare quella che potremmo chiamare una “crisi da mancato adattamento alla realtà”. Realtà oggi profondamente complessa, soprattutto per la sua sottile e sfumata linea di confine con il reality.
Per concludere possiamo dire che la riabilitazione della persona spesso passa attraverso una comprensione di sé e della realtà esterna. E alla costruzione di nuovi e più funzionali equilibri di adattamento. Che tengono in considerazione i propri personalissimi e soggettivi bisogni nonché i propri limiti.
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