Dipendenza affettiva: i ruoli, tra vittime, carnefici e salvatori
Nelle coppie dipendenti osserviamo una complementarità di ruoli che mantengono l’asimmetria del legame e l’invischiamento patologico.
Potremmo sinteticamente considerare questi ruoli come quelli di “vittima” , “carnefice” e “salvatore”.
E’ possibile che nella coppia si oscilli da un ruolo all’altro. Sebbene è più frequente che i ruoli siano fissi, stereotipati, rigidi e non adattabili. Per cui possiamo vedere la classica coppia in cui uno gioca il ruolo del carnefice. Come tipico delle coppie in cui si assiste a veri e propri episodi di violenza, per lo più nei confronti della donna. Che fisiologicamente, ma soprattutto tradizionalmente e culturalmente, si ritrova facilmente nel ruolo della vittima. Sono le coppie del perdono incondizionato, delle botte e i fiori, del “te lo prometto non lo farò più”. E delle corse in ospedale per presunte cadute, del “poverino cambierà”, delle colpe assunte senza motivo, della contraddizione impossibile. Sono le coppie in cui il partner carnefice, in qualche modo, è sempre giustificato e compreso da una vittima che vuole rimanere tale. E che non ha le risorse per emanciparsi dalla violenza fisica, sessuale o psicologica e dal suo stesso senso di inadeguatezza che la costringe in un ruolo sottomesso accolto senza obiezioni.
Dipendenza affettiva: i ruoli, tra vittime, carnefici e salvatori
Ma sono anche le coppie delle presunte vittime. Che si sentono maltrattate dall’altro in ogni occasione, che hanno bisogno di un colpevole a cui attribuire le loro angosce esistenziali. E che restano in una coppia per potersi sentire in diritto di lamentarsi e sfogarsi dei loro disagi. L’altro nella coppia assume il ruolo del carnefice. Per un meccanismo di proiezione o identificazione proiettiva. E diventa il destinatario di arcaiche angosce paranoidi. Sono le coppie dove è sempre colpa dell’altro, dove è lui/lei che sbaglia, del “vede dottore come mi tratta?”
E poi ci sono le coppie dove alla vittima si contrappone un salvatore. Che richiama molto il vecchio e caro “principe azzurro”, mai tramontato nella cultura e nelle fantasie personali più profonde e inconsce. Chi di noi in fondo non ha almeno una volta desiderato che arrivasse qualcuno a salvarci, a liberarci dalle nostre paure e dalle nostre fatiche, a colmare le nostre mancanze e i nostri vuoti? Eppure, in questo desiderio si nasconde il bisogno arcaico di delegare la responsabilità della nostra vita a qualcun altro. Di tornare a essere bambini indifesi, in quella forma di dipendenza infantile che implica l’impossibilità di prendere decisioni da soli e di autodeterminarsi. E in fondo la dipendenza affettiva spesso non è altro che una ripetizione di modelli di relazione infantile, realmente avvenuti ovvero mancanti e desiderati. Nel tentativo fallimentare e illusorio di sanare antiche ferite quanto piuttosto di cambiare l’epilogo di una dinamica disfunzionale, senza però cambiare il processo.
Dipendenza affettiva: i ruoli, tra vittime, carnefici e salvatori
E così la vittima, del destino, del mondo, o solo di sè stessa e della sua storia, cerca nel partner un salvatore con il quale costruire una relazione asimmetrica sulla polarità impotenza/onnipotenza. Il salvatore, dal suo canto, potremmo definirlo come qualcuno in lotta perenne con il senso di inadeguatezza e di impotenza. Che cerca di compensare assumendo un ruolo di superiorità sull’altro, pensando illusoriamente di curarlo, cambiarlo, salvarlo, convertirlo. Nel tentativo di risolvere in tal modo anche la propria insicurezza.
La dinamica disfunzionale non permette una reale evoluzione ed emancipazione della coppia e dei due partner. Cosicché il salvatore non raggiungerà mai il suo scopo, confermando la sua impotenza. E la vittima resterà sempre bisognosa di aiuto, confermando il suo senso di incapacità e inadeguatezza. Cosa succederebbe infatti se la vittima si riabilitasse davvero? Se il salvatore davvero dovesse riuscire a salvarla? A quel punto non ci sarebbe più quel collante nella coppia. E la stessa morirebbe di morte naturale, non trovando altri fattori su cui fondarsi. E’ per questo che nella coppia con polarità vittima-salvatore, la vittima in realtà deve, necessariamente e per entrambi, restare nel suo ruolo di disagio, impotenza e impossibilità. E’ il caso di quelle coppie dove uno dei due partner ha un disagio o una patologia conclamata e diagnosticata. Come una dipendenza da alcol, un disturbo alimentare, una depressione, ecc. E l’altro assume il ruolo del guaritore-infermiere-terapeuta, contribuendo in realtà a mantenere vivo il sintomo dell’altro. E’ possibile anche che quella coppia si incastri nel momento in cui uno dei due sta vivendo una particolare condizione di vulnerabilità sociale e/o fisica. Anche in questo caso la coppia si mantiene solo a patto che la vittima resti tale. E così, anche risolta l’eventuale problematica contingente, se ne troverà un’altra (a costo di costruirla o generarla!) per perpetrare la dinamica stessa.
Roberta Calvi Psicologa e Sessuologa
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