Desideri autentici o condizionati? Cosa ci piace davvero?
Cosa ci piace? Sappiamo riconoscere i nostri desideri?
E perché ci piace quella cosa/persona/situazione? È un condizionamento o un desiderio autentico?
Ci piace o ci deve piacere (o non piacere)?
Non è semplice districarsi in questi dilemmi.
In primis il rapporto col piacere è da sempre al centro di diatribe filosofiche e religiose per il potere che lo stesso esercita sull’essere umano. La filosofia e la religione hanno da sempre oscillato dall’apertura al piacere alla repressione dello stesso. D’altronde il piacere non soggiace a logiche razionali e soprattutto fa perdere il controllo.
Proprio per questo anche a livello intrapsichico il piacere è talvolta percepito come rischioso e pericoloso.
Il bisogno di controllo può infatti generare dinamiche consapevoli o inconsapevoli di repressione dei desideri perché la realizzazione degli stessi genererebbe un piacere incontrollabile e spaventoso.
Talvolta però la repressione del desiderio genera meccanismi irrazionali di compensazione compulsiva. Ad es. la restrizione alimentare, legata a dinamiche conflittuali con cibo e corpo oppure legata a logiche dietologiche, può generare una spinta compulsiva e la messa in atto di abbuffate.
La repressione del piacere può avvenire anche mediante condizionamento del desiderio, attraverso processi suggestivi individuali o collettivi piuttosto che con modalità evidenti o subdole di minaccia.
La repressione cattolica dei piaceri della carne nel Medioevo avveniva mediante minaccia di punizione divina, cosicché le stesse persone si sentivano vigili controllori della propria condotta auto-punendosi in caso di cedimento alla “tentazione” di desideri peccaminosi.
Cosicché ciascuno diventava un attore protagonista di un tentativo di trasformazione del desiderio, condizionato dalla morale collettiva. Il desiderio di purezza era una forma di condizionamento del desiderio.
Il desiderio percepito del soggetto era essere un bravo cristiano capace di controllare i propri impulsi alimentari e sessuali, ma tale desiderio era in realtà condizionato dal contesto storico e dalla morale dominante.
Desideri autentici o condizionati? Cosa ci piace davvero?
Facciamo un esempio più attuale.
Se la persona che amo vorrebbe che io mi appassionassi di letteratura o di inglese, che amassi andare a ballare o in giro in bicicletta o al contrario se mostrasse rabbia o sofferenza per una mia amicizia, un mio hobby o il mio lavoro e improvvisamente mi ritrovassi a sentire il desiderio di appassionarmi proprio di ciò che piace a lui o sentissi insofferenza per ciò che lui non apprezza finanche a desiderare di cambiare lavoro o rompere quell’amicizia, quanto sarebbe autentico quel desiderio?
Il mio desiderio a quel punto sarebbe compiacerlo ovvero garantire la sua vicinanza ed evitare una temuta rottura?
Ecco allora che ciò che mi piace potrebbe essere non così facilmente riconoscibile, soprattutto se il bisogno di approvazione esterna è massiccio.
Il bisogno di approvazione laddove rappresenta un vissuto emotivo che dà la sensazione di garanzia del legame col singolo o col gruppo (vedi le dinamiche di alcolismo o tossicomania sociale negli adolescenti) può essere un fattore di condizionamento del desiderio talmente profondo da non essere consapevole.
In realtà tutti i desideri possono essere condizionati da bisogni più profondi e/o da angosce più radicate di cui la persona non è consapevole. Per questo il rapporto col piacere può essere più libero e gratificante o fonte di disagio, destabilizzazione, ansia.
Le domande poste all’inizio di questo articolo possono essere un buon punto di partenza per una riflessione personale sull’argomento.
Se il rapporto col piacere e col desiderio appaiono eccessivamente disfunzionali è necessario un aiuto per facilitare una consapevolezza e un cambiamento.
Per parlarne con la Dott.ssa Roberta Calvi
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